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martedì 26 ottobre 2010

Solo Sicilia

Le arance di Sicilia
Grazie alle sue inimitabili caratteristiche l’arancia rossa di Sicilia è un prodotto IGP, indicazione geografica protetta, nelle sue varianti tarocco, sanguinello e moro. E proprio nella terra che gli attribuisce il colore rosso brillante, il profumo fresco ed intenso, il sapore unico coltiviamo direttamente il frutto del benessere. Il processo di raccolta avviene manualmente, la coltivazione è assolutamente biologica, il frutto arriva in 24 ore dall’albero alla tua tavola. L’apporto di vitamine, zuccheri semplici ed antiossidanti è solo una delle caratteristiche organolettiche delle arance siciliane, le altre le lasciamo scoprire a voi. Arance siciliane, se sono famose in tutto il mondo ci sarà un perché….
Cenni storici e informazioni 

Arancia Navel
Frutto di media pezzatura, privo di semi e con buccia di colore rosso arancione.
La polpa, di colore giallo rosato, è aromatica, dolce ed acidula allo stesso tempo.
Matura da dicembre a gennaio.
Arancia Tarocco dal muso
Frutto di pezzatura grossa con l'attacco pedicellare pronunciato.
La buccia varia dal giallo al rosso in relazione alla fase di maturazione.
Il succo è abbondante ed ha un aroma del tutto particolare.
Arancia Tarocco Nocellaro
Frutto di pezzatura grossa e di forma rotonda-ovale.
La buccia di colore giallo all'inizio della maturazione, tende al rossastro a maturità completa.
La polpa, di colore rosso e dal sapore eccellente, è particolarmente succosa.
Arancia Sanguinella
Frutto oblungo la cui polpa è succosa e profumata, a volte fortemente venata e quasi sempre priva di semi.
Matura da gennaio ad aprile.
Arancia Moro
Frutto di media pezzatura di colore giallo arancione con striature rosse. La polpa, quasi priva di semi, a piena maturazione assume una pigmentazione violacea.
Il succo è abbondante, di colore sanguigno e dal gusto molto gradevole.
Arancia Valencia late
Si tratta di una delle più diffuse varietà a maturazione tardiva. I frutti sono di pezzatura media con buccia fine, liscia o lievemente granulata.
La polpa è succosa aromatica e leggermente acida.
Maturano da aprile a giugno.
Arancia Ovale
Frutto a maturazione tardiva caratterizzato da un sapore dolce e gradevole con un ridotto numero di semi.
Si produce principalmente nella Sicilia sud-orientale da marzo ad aprile.





Le arance rosse di Sicilia
Secondo la tradizione, la coltivazione degli agrumi venne introdotta in Sicilia dagli arabi, che se ne servivano per abbellire i loro giardini. La presenza di agrumi nell'isola è documentata fin dal 1500 ma è solo alcuni secoli dopo chela sua coltivazione come pianta da reddito acquisisce una certa importanza, soprattutto fra il 1800 e il 1900, fino a diventare uno dei simboli dell'agricoltura siciliana.
Nel corso dei secoli in un'area delimitata a sud dell'Etna, condizioni microclimatiche particolari hanno indotto una naturale mutazione che ha portato alla nascita di un'arancia diversa, con caratteristiche organolettiche che finora non è stato possibile riprodurre in nessun'altra parte del mondo; l'arancia rossa di Sicilia nelle varietà di Moro, Tarocco Sanguinello e Navelina.
La protezione dei venti freddi del nord assicurata dai 3.300 metri del vulcano, la composizione dei terreni, la forte escursione termica che si verifica in prossimità della maturazione dei frutti, sono gli elementi che non si limitano a conferire la pigmentazione intensa alla buccia e alla polpa, ma aggiungono alla naturale dolcezza del frutto maturo un accenno di acre che rende la sua degustazione un esperienza gratificante e unica.
"Le Città dell'Arancia" organizzata dello Slow Food Lentini è giunta alla quarta edizione, intende far conoscere questo frutto inimitabile e la terra quale viene coltivato. La manifestazione è realizzata d'intesa con il Consorzio Tutela Arancia Rossa di Sicilia IGP, cheha il compito della tutela e della valorizzazione di una delle più importanti risorse dell'agricoltura siciliana.
Limone Interdonato
Facciamo un passo indietro nei secoli e cerchiamo di scoprire le origini di questo particolare frutto che deve il nome al suo inventore. È il 1875 quando il Colonnello Giovanni Interdonato, finita la sua militanza nella milizia garibaldina, torna a casa e decide di dedicarsi con passione alla coltivazione dei suoi agrumeti che si estendevano nella valle del fiume Nisi, vicino a Alì Terme (ME). Certo non pensava che innestando due semi gemme di cedro e limone in una pianta di arancio amaro sarebbe nata una nuova e originale qualità apprezzata in tutta Europa. Eppure così è stato: il limone, chiamato non a caso interdonato dal nome del colonnello, è infatti presente da oltre un secolo su tutti i mercati nazionali e internazionali, soprattutto in Inghilterra dove è molto gradito per aromatizzare il tè, esaltandone con delicatezza il sapore. La sua zona di produzione è invece limitata all’area di Messina che presenta le caratteristiche morfologiche e climatiche più favorevoli alla crescita della pianta.
Mandarino tardivo di Ciaculli
Il "Tardivo", che in epoca recente è stato impiantato anche in altre zone in sostituzione dell"'Avana", si trova ancora prevalentemente localizzato nella fascia costiera che si sviluppa ad est del palermitano, e in questo contesto l'area di indagine ne rappresenta una quota significativa anche a livello nazionale.
Il mandarino "Tardivo di Ciaculli", prende il nome dall'area dove fu scoperto, ovvero Ciaculli, e dall'epoca di maturazione più tardiva rispetto a quella dei mandarino Avana tradizionalmente coltivato nella zona. Successivamente il Tardivo è stato diffuso fino a sostituire quasi interamente l'Avana, venendo la coltura principale dell'area. La ragione di tale diffusione, protrattasi fino ad oggi, è dovuta all'epoca di raccolta dei frutti. Questi, infatti, vengono raccolti nel mese di marzo, quando la produzione di altri mandarini è ormai terminata.
Femminello siracusano
Femminello siracusano (o Femminello masculuni)
Di probabile derivazione (per mutazione gemmaria) del "Femminello comune", questo tipo di limone si caratterizza per essere una pianta di grande vigore, con un rapido accrescimento e una messa a frutto anticipata rispetto agli altri limoni mediterranei. Ha una certa rifiorescenza spontanea e riesce a produrre mediamente l'85% di limoni (per la maggiore precocità del primofiore), il 4% di bianchetti e l'11% di verdelli. Di grande qualità e dunque molto apprezzata dal mercato anche per l’alta produttività e il precoce accrescimento dei frutti, questa cultivar presenta comunque dei difetti come la mal tolleranza al mal secco.
Il mapo
Sono un gruppo di ibridi con caratteristiche intermedie tra il mandarancio (Citrus reticulata) e il pompelmo (Citrus paradisi).
Il più conosciuto è il Mapo, incrocio tra mandarino "Avana" e pompelmo "Duncan", molto precoce. I suoi frutti hanno una buccia molto sottile che resta in buona parte verde anche a piena maturazione. La polpa, giallo-arancio uniforme, ha un sapore gradevolmente acido. E' un albero di vigoria medio-forte, a portamento globoso espanso, con rami tendenti a piegarsi verso il basso e presentanti spine solo su quelli più vigorosi.
Il cedro
La pianta è un arbusto che può raggiungere i 4 metri di altezza. I rametti giovani sono rossastri o violetti, con foglie lunghe fino a 20 cm. I fiori crescono in gruppi da tre a dodici e sono molto profumati; i boccioli sono rossastri, ma il fiore aperto è bianco. Il frutto è grande 20-30 cm, giallino, ovale o quasi rotondo, talvolta con una leggera protuberanza al peduncolo e un po' appuntito dalla parte opposta. La buccia è molto ruvida ed eccezionalmente spessa. Costituisce fino al 70% del frutto, per cui – tolti pure i semi e la pellicola tra gli spicchi – solo un 25-30% del cedro è edibile. Va detto però che comunque questo frutto si consuma fresco assai di rado; la caratteristica peculiare del cedro è infatti quella di produrre frutti completamente dolci o completamente agri, il che li rende poco appetibili.
Come gli altri agrumi, il cedro ha le sue origini nell'Asia sudorientale, più precisamente all'incirca nell'area oggi amministrata dal Bhutan, ma è giunto in Europa in tempi remoti. In Italia la conoscenza del cedro è molto antica. Fu classificato già da Plinio il vecchio nella Naturalis Historia col nome di "Mela Assira". A quei tempi ancora non si usava il frutto come alimento; il suo utilizzo a tale scopo si sarebbe diffuso dolo due secoli dopo. Era invece usato come repellente per gli insetti nocivi come le zanzare, in maniera analoga alla citronella. Attualmente è coltivato soprattutto nell'area mediterranea, in Medio Oriente, India ed Indonesia, ma anche in Australia, Brasile e negli USA. In molte località indiane cresce pure spontaneamente. Anche in Italia il cedro cresce spontaneo e la sua coltivazione e lavorazione è diffusa in Calabria nella "riviera dei cedri", fascia costiera dell'alto tirreno cosentino che va da Diamante (CS) a Tortora
Il clementino o mandarancio
Il termine mandarancio si riferisce ad un gruppo di agrumi, e cioè agli ibridi tra il mandarino (Citrus reticulata e Citrus nobilis) e l'arancio (Citrus x sinensis e Citrus x aurantium). E’ un termine che sovente trae in inganno, anche perché molto spesso viene usato impropriamente. Storicamente è stato il primo nome che si volle dare al frutto che volgarmente veniva chiamato mandarino, ma non attecchì. Fu bensì subito accettato per i vari ibridi che si fecero tra il mandarino e gli aranci (sia quello dolce che quello amaro), ed è ciò che in effetti significa tuttora nella letteratura scientifica. In pratica però viene poco usato e si preferiscono le singole denominazioni commerciali.
Le piante dei mandaranci sono dei tipici citrus, alcuni più simili agli aranci, altri più vicini ai mandarini, ma le differenze non sono molto significative, in quanto tutte le varietà hanno ovviamente cercato di far emergere e poi conservare le stesse caratteristiche. Si sono ottenute innanzi tutto piante più robuste e resistenti al freddo. Si è conservata la buccia più sottile e più morbida del mandarino che può essere tolta con più facilità. Anche la divisione in spicchi è facile come nei mandarini e questa è risultata una delle carte vincenti di tutti i mandaranci. L’ascendenza dell’arancio ha conferito loro un gusto deciso ed un perfetto equilibrio tra l’agro ed il dolce. Le caratteristiche che invece si sono perse con l’ibridazione sono soprattutto due. Diversamente dai progenitori, i mandaranci non possono rimanere a lungo maturi sul ramo e non continuano la maturazione una volta colti, per cui i tempi di raccolta devono essere ben sincronizzati. La seconda conseguenza dell’ibridazione è stata un’imprevista differenza di potere calorico, ma alla fine ciò si è dimostrato utile per inserire questi frutti nelle varie diete.
Il mandarancio più vecchio è certamente l’unshiu (Citrus x Unshiu), ottenuto in Giappone più di quattro secoli fa, ma generalmente ritenuto ancora una varietà di mandarino. In Italia, il mandarancio che ha conquistato i mercati negli ultimi decenni, è stata senz’altro la clementina (Citrus clementina) che ormai la maggior parte degli esperti annovera come specie. Le sue caratteristiche sono risultate infatti tanto stabili nel tempo che non si può reputarla solo una varietà. Attualmente viene prodotta in quantitativi massicci, essendo l’agrume più richiesto sul mercato dopo l’arancia. E’ interessante, infine, il tangor che sembra sia un ibrido che si potrebbe definire di seconda generazione, cioè un incrocio tra l’arancio e l’ibrido mandarino x arancio. Molti altri mandaranci si trovano sul mercato, ma si tratta di varietà non stabili o cultivar (okitsu, monreal, oroval e altri). Alcuni botanici fanno rientrare tra i mandaranci pure ibridi ottenuti con le fortunelle, ma non è prassi comune.
Il pompelmo rosa
È un albero sempreverde alto solitamente dai 5 ai 6 metri, ma può raggiungere i 13-15 metri. Le sue foglie sono di colore verde scuro, lunghe (oltre i 15 cm) e sottili. Produce fiori bianchi composti da quattro petali di 5 cm. Il frutto è giallo, di aspetto globoso di diametro di 10-15 cm ed è composto da spicchi incolori. E’ il più grande tra i frutti degli agrumi sul mercato, dato che può facilmente raggiungere i due kg di peso, nel qual caso però non viene consumato fresco, ma è destinato all’industria conserviera per la produzione di succo. La buccia del pompelmo è abbondantemente foderata dalla massa spugnosa detta albedo che è però leggermente meno compatta di quella del limone. Per questo motivo il frutto non ha la consistenza solida del limone, e neanche l’elasticità dell’arancia, il che lo fa spesso sembrare ammaccato.
Il pompelmo è l’unico agrume che si suppone non provenga dall’Asia sudorientale, ma dall’America Centrale. Si dice sia stato scoperto nel 1750, probabilmente nelle Barbados o alle Bahamas. In realtà è plausibile che da questi luoghi sia stato portato in Florida, ma sembra alquanto strano che da lì abbia potuto raggiungere anche il Mar Mediterraneo. Non ci sono dati certi in proposito, ma esiste l’ipotesi per cui anche il pompelmo sia giunto in Europa assieme al suo progenitore, il mandarino, dall'Estremo Oriente attraverso l’Asia per la Via della seta, il che collocherebbe la sua origine nella patria di tutti gli altri agrumi. E’ comunque vero che in Europa era stato usato a lungo solo come pianta ornamentale. Il frutto è diventato popolare solamente nel diciannovesimo secolo.
Esistono sul mercato molte varietà di pompelmo, ma una in particolare sta assumendo una certa importanza. Si tratta del pompelmo rosa, un ibrido con l’arancio che ha sollevato molto interesse tra i compratori, tanto da favorire ulteriori ibridazioni soprattutto con l’arancio moro. Sono stati raggiunti buoni risultati: il frutto sta diventando sempre più colorato e sempre più dolce, e la buccia si sta assottigliando. Al momento il pompelmo rosa è solo una varietà del pompelmo giallo, ma potrebbe succedere che in breve diventi specie autonoma di citrus. E’ già successo con le clementine: quando una varietà raggiunge qualità peculiari facilmente ripetibili, mantenendo invariate le nuove caratteristiche, l’ibrido assume lo status di specie. Non dobbiamo dimenticare che – storicamente – è quanto successe addirittura all’arancio ed al limone.
Il melone cartucciaro di Paceco
Agli inizi del 1600 la coltivazione dei meloni era molto diffusa nei comuni agricoli vicini a Trapani. In un testo del 1609, “Storia di un borgo feudale del Seicento”, si legge che “questa gente avesse la specialità della coltivazione dei melloni” e un altro testo di uno storico locale della metà dell'Ottocento riporta che "Paceco, oltre alla coltura estensiva dei cereali presentava per larghi tratti alberi di olivo, vigneti e distesi campi di melone". Dopo la raccolta più "tardiva" (cioè quella dei meloni maturati dalla metà di settembre in poi) si riponevano sulle terrazze oppure si appendevano ai balconi e non si toccavano più fino a Natale quando, durante le feste, si tagliavano e si riscoprivano dolci e succosi.
La coltivazione del melone giallo ha avuto la sua massima espansione dagli anni ’70 agli ’80, seguita da una forte riduzione delle superfici causata dalla concorrenzialità dei meloni appartenenti a nuove varietà e di ibridi a buccia gialla molto simili alla vista: solo un contadino potrebbe distinguerle. Sono tutti quanti gialli ma il cartucciaro è un poco più allungato del comune Helios, meno regolare e perfetto, e ha la punta un poco ricurva. Le nuove varietà si sono affermate per la loro maggiore produttività e per la resistenza genetica a diversi agenti patogeni. La Facoltà di Agraria dell’Università di Palermo negli anni passati ha iniziato a riselezionare il seme originario dell'ecotipo cartucciaro di Paceco e, grazie alla disponibilità di alcuni contadini, sono stati avviati campi sperimentali. Il lavoro non è ancora concluso, si sta cercando di isolare a ogni raccolto le piantine migliori per arrivare ad avere sementi resistenti e in grado di produrre meloni dalle caratteristiche il più possibile costanti.
Il cartucciario si semina a scalare da aprile a settembre e si raccoglie dopo 120 giorni dalla semina, a partire dal mese di giugno. La sua caratteristica più notevole è la serbevolezza. Il Presidio, che riunisce tre agricoltori, vuole recuperare la tradizione della conservazione (che si svolge oggi in ambienti asciutti e freschi): rinviare il momento della vendita fino al periodo festivo invernale consente di spuntare un prezzo più alto sul mercato e più remunerativo per i produttori.
La pesca di Bivona
Nella zona dell'alta valle del Platani, nella splendida cornice dei monti Sicani e delle col­line circostanti si estende la coltivazione della pesca di Bivona o “montagnola”, come comunemente viene definiita, a rimarcare la provenienza da una area caratterizzata da una orografia collinare e montana.
Nell’ultimo decennio si è assistito ad un processo di continua espansione della peschi­coltura che ha interessato anche i comprensori limitrofi..
La superficie investita con questa tipologia di pesca in Sicilia supera i 150 ha, con una produzione complessiva stimabile in circa 35.000 quintali.
Il clima mite in queste zone ha permesso e favorito l’ottenimento di produzioni con peculiari caratteristiche organolettiche e merceologiche: polpa bianca e soda talvolta solcata da venature rosee tendenti al rosso, sapore dolce e aromatico.
Le prime pesche vengono raccolte alla fine di agosto e proseguono fino alla prima settimana di ottobre; questo fa si che il frutto sull'albero si lasci baciare dal caldo sole di Sicilia per tutto il periodo estivo, accumulando dolcezza e profumo.
Questo tipo di pesca risulta resistente alle manipolazioni ed al trasporto.
Cantalupo di Licata
Il dolce melone "Cantalupo" viene coltivato in quella porzione della provincia di Agrigento compresa tra il fiume Akragas ed il fiume Salso, interessando particolarmente i territori di Palma di Montechiaro, Licata e Favara
Coltivato nella fascia costiera appartiene al gruppo "reticolatus", a cui fanno capo meloni caratterizzati da una retatura, talora anche molto vistosa.
La forma è tondeggiante, piuttosto piccolo, del peso medio di circa 1 - 1,5 kg.
La superficie esterna, di colore verdastro, presenta spesso la marcatura della fetta. La polpa, fragrante, soda e aromatica, è di colore arancio ed ha un grado zuccherino motto elevato.
l melone dell’agrigentino apre la stagione dei frutti estivi, esso raggiunge le tavole dei consumatori già nel mese di aprile e viene prodotto sino ad estate piena.
La sua naturale succosità, la dolcezza, il profumo, lo rendono adatto alla preparazione di svariati piatti, dagli antipasti ai dessert, belli da vedere ed ottimi da gustare.
Unito ai prosciutto crudo costituisce un rapidissimo e gustosissimo antipasto.
Nespole di Trabia
NESPOLO DEL GIAPPONE è una bellissima pianta sempreverde, che fruttifica abbondantemente al centro e a sud del paese. Al nord è soltanto una specie ornamentale, perché le infiorescenze a grappolo eretto, apicale compaiono in ottobre-novembre e quindi sono vittime delle gelate. Le foglie sono grandi, lanceolate, e i frutti, ovoidali o ellissoidali, con buccia giallo chiaro o arancio, somigliando alle albicocche, da cui si distinguono soprattutto per il grosso peduncolo (contengono, inoltre uno, due o più noccioli grossi, globosi) e per la precoce epoca di maturazione(maggio), che precede l'albicocco di un paio di mesi. I frutti hanno anche una buona tenuta e resistenza alla manipolazioni e per queste sono molto ricercate per il consumo fresco. La polpa, che ha una buona serbevolezza, è succosa, acidula, un pò aromatica, appena dolce, gradevole. Il succo può essere anche fermentato e distillato per ricavarne un "KIRSCH" dal caratteristico retrogusto di mandorla amara. L'albero, che sopporta la siccità, può essere allevato a cespuglio globoso alto m. 2,50 - 3,00 oppure a chioma impalcata alta su un tronco di circa m. 1,00 con dimensioni anche di m. 6,00 -7,00 (nei terreni fertili, freschi e con climi caldi). La potatura va eseguita, possibilmente, dopo la raccolta e prima della fioritura annuale. Si innesta su franco oppure su cotogno o biancopino. Le cultivar sono di origine americana o giapponese ( "ADVANCE", "EARLY RED", "PREMIER", "OLIVER", "TANAKA"). In Sicilia, si coltivano varietà locali: "NESPOLONE GIGANTE BIANCO", "NESPOLONE ROSSO PRECOCE", "NESPOLE VANIGLIA"(tutto autofertili) oppure "NESPOLONE ROSA TARDIVO", "DI FICARAZZI" e "DI TRABIA"
Fragoline di Ribera
In Sicilia, in una ristretta area della provincia di Agrigento, è stato avviato di recente il Presidio Slow Food che lavora per far conoscere, proteggere e tutelare la fragolina di Ribera. Infatti piantine erbacee e perenni di questo tipo crescono spontaneamente nelle macchie del massiccio della Madonia, sui Monti Nebrodi e sull’Etna, ma nel Comune da cui la coltura prende il nome e nelle zone intorno a Sciacca, Caltabellotta e Menfi esistono veri e propri giardini dove si producono queste caratteristiche fragoline.
Ma come sono arrivati in Sicilia questi piccoli frutti rossi, delicatamente profumati? La tradizione narra che alcuni soldati siciliani, di ritorno dalla Grande Guerra, abbiano portato nella loro terra delle piantine raccolte nel sottobosco di qualche località delle Alpi, forse in Trentino o in Friuli, e che le abbiano re-impiantate, dando origine a una qualità locale che si è successivamente sviluppata nella valle del Verdura. Qui, ancora oggi, ai piedi di limoni, aranci e peschi, si estendono coltivazioni di fragoline la cui produzione è difficile e impegnativa: infatti si raccolgono a mano, a partire dalla metà di aprile, ma basta qualche soffio di scirocco in più per compromettere l’intero raccolto: le piantine, i fiori e i boccioli rischiano di seccare, senza che cresca nulla per almeno un paio di settimane.
Molto profumata, ma estremamente piccola e deperibile, la fragolina di Ribera andrebbe consumata subito dopo averla colta dalla pianta, o entro due giorni massimo, per apprezzarne le numerose proprietà. Queste, invero, sono molte, se si considerano anche i numerosi impieghi del prodotto utilizzato sia in cucina, per confezionare diversi tipi di dolce, che nella farmacopea tradizionale, per preparare rimedi naturali.
Pesca noce o nettarina
Ha buccia glabra, è spiccagnola al punto giusto. Ha sapore piacevolmente zuccherino. Il colore intenso della buccia vira fortemente al rosso, la polpa può essere bianca o gialla.
Sulla pianta il frutto è delicato, meno resistente alle intemperie e ai parassiti.
Il consumo del frutto fresco consente di godere del profumo e del sapore eccezionali. Ottima tagliata a fettine e lasciata a marinare con zucchero e limone.Molto adatta alla merenda dei bambini perchè si lascia mangiare a morsi come la mela. Non dispiace anche cotta al forno e farcita con cioccolato e amaretti, servita come dessert. Si può anche conservare il frutto sciroppandolo per un uso invernale.Ha avuto origine dalla Persica Laevis, della famiglia delle Rosacee, genere Prunus. La sua presenza nel territorio di Romagna è molto antica, con il nome di pesca noce è citata nel trattato seicentesco di Vincenzo Tanara " L'economia del contadino in Villa".
Pesca tabacchiera
La storia della peschicoltura sull'Etna non è antichissima ma è comunque storia di baroni, duchi e latifondi. O meglio, è la storia della fine di un periodo di privilegi quasi feudali: ai conduttori dei latifondi, infatti, era proibita qualsiasi coltivazione arborea. Solo con la riforma agraria, nel secondo dopoguerra, le colture annuali iniziano a essere sostituite da colture perenni. I primi peschi sono introdotti proprio in questo periodo nella zona dell'alto Simeto.
Sono particolarmente attivi nell'opera di diffusione e sperimentazione gli amministratori di una delle proprietà storiche della zona: la Ducea di Maniace, donata nel 1799 da Ferdinando di Borbone all'ammiraglio inglese Orazio Nelson, come ricompensa dell'aiuto fornito per stroncare la rivoluzione di Napoli.
La zona si rivela fin dall'inizio vocata per la frutticoltura: i terreni ben drenati, l'abbondanza di acqua e la notevole escursione termica garantiscono un prodotto di qualità superiore, che si impone subito sui mercati locali. Il successo è tale che dall'alto Simeto, nel giro di pochi anni, la coltura si estende anche alla vicina Valle Alcantara.
Le varietà introdotte sono moltissime, a pasta bianca e gialla, precoci e tardive. Tra tutte spicca la Tabacchiera a pasta bianca: una pesca particolarissima, dalla forma schiacciata e dal profumo estremamente intenso che sull'Etna trova un habitat ideale e il favore dei consumatori locali.
Varietà delicata e suscettibile agli attacchi parassitari, la Tabacchiera stenta però a competere con altre tipologie più funzionali al mercato. Il Presidio punta a diffonderne la conoscenza anche oltre i confini della provincia di Catania, aiutando i produttori a trovare nuovi canali per la sua distribuzione.
Fico d'india del Belice
Introdotto in Europa in età colombiana dagli spagnoli che lo importarono dal Messico, il fico d’India è presto diventato un elemento inscindibile nel panorama tipico del bacino del Mediterraneo, dove ha trovato le condizioni climatiche migliori per attecchire e svilupparsi - In Sicilia, in particolare, le “pale” di fico d’India crescono spontaneamente sui suoli sabbiosi e pianeggianti fornendo all’Isola frutti di alta qualità e pregio tanto che la nostra regione ne è, dopo il Messico, il secondo produttore mondiale. In Sicilia il ficodindia è coltivato in aree ben distinte: nella zona centro-orientale dell’Isola che fa capo al paese di San Cono, nel sud-ovest etneo nei territori di Belpasso, Militello, Paternò, Adrano e Biancavilla, nel Belice (zona sud-occidentale) dove la coltivazione di questa pianta interessa i comuni di Menfi, Montevago e soprattutto Santa Margherita Belice. Da agosto a Natale, dunque, l’Isola è un prolificare di questo esotico frutto che conta quattro diverse varietà: la gialla detta “sulfarina”, la rossa nota come “sanguigna”, la bianca denominata “muscarella” e quella dal tipico color arancio chiamata “moscateddo”. pregi di questo frutto sono legati a vari motivi: intanto le pale di ficodindia non hanno bisogno di essere trattate con antiparassitari e pertanto i suoi frutti possono essere considerati naturalmente “biologici”. Ma le qualità migliori di questi frutti sono rappresentate dalle sue proprietà terapeutiche tanto che consumare fichidindia rappresenta un’ottima cura naturale per l’intero organismo. Tra le più importanti proprietà del ficodindia si segnala quella depurativa, ottima per aiutare l’espulsione dei calcoli renali, e quella coadiuvante nella cura dell’osteoporosi grazie alla quantità di ferro, calcio e fosforo contenuti in questo frutto Il ficodindia è inoltre indicato anche quale integratore nelle diete dimagranti per il suo grande apporto di fibre, che danno un senso di sazietà, e come reidratante e rivitalizzante per chi svolge attività fisica intensa, sia sportiva che lavorativa
Mela lappedda
Nel nostro territorio ancora resiste, tra varie difficoltà, una qualità di mela col nome tradizionale di "Lappedda". E' maggiormente presente nella contrada "Carraosco", vallata lontana dalle zone marine e con un altimetria di circa 200 m.s.l. Su tutto il territorio il numero delle piante è in forte regresso sia a causa dell'abbandono dell'attività agricola, che per la destinazione delle superfici ad essa destinate alla più redditizia coltura degli agrumi, che a partire dagli anni 60 ha sostituito la tradizionale mela "Lappedda".
La fioritura avviene entro la metà del mese di aprile, con una colorazione dei petali rosa pallido e di media grandezza.
Il frutto, invece, si presenta con forma schiacciata e di diametro medio di circa 6 cm ed altezza 3 cm. Il colore a maturazione completa è giallo. La raccolta viene effettuata dopo il 10 ottobre allorché il frutto ha una colorazione verde pallido e la maturazione viene fatta continuare in casa. Le migliori caratteristiche organolettiche del frutto si hanno dal momento della raccolta fino alla maturazione completa, quando, raggiunto il colore giallo intenso perdono l'equilibrata sapidità.
La polpa è molto consistente e succosa con buccia sottile e lucida. Il peso medio dei frutti è di circa 60 grammi.

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